Dei diritti e dei doveri, finalmente parole chiare!

Non ha senso collegare i diritti ai doveri, per nessuno, e meno che mai per i bambini e i ragazzi

“Ma quanti diritti hanno i bambini e i ragazzi! E i doveri? Dove li mettiamo i doveri?”. Quante volte chi si occupa di Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza ha sentito questa frase, detta da amministratori, politici, educatori, insegnanti, famiglie.

L’Italia è un Paese con scarsissima cultura dei diritti (anche dell’infanzia e dell’adolescenza), nonostante fosse proprio italiano quel Cesare Beccaria che con il suo “dei delitti e delle pene” del 1764 aprì la strada alla nostra cultura giuridica che pone su due piani distinti i reati e le sanzioni, frapponendo nel mezzo il diritto come espressione della regolazione dell’umana convivenza.

Il tema, considerando la Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza che l’Italia ha ratificato il 27 maggio del 1991, è ancora più spinoso, perché riguarda una “categoria” – i bambini e i ragazzi – che da una parte sono (devono essere, con la Convenzione sui Diritti) considerati “soggetti di diritto” (quindi “intitolati” di diritti, come si dice in inglese, che nessuno può dare o togliere, quindi “indisponibili” e obbligati) e dall’altra sono (devono essere, anche in questo caso) considerati “soggetti in età evolutiva”. La Convenzione ONU quindi mette il dito su questioni che sono ad un tempo giuridiche, culturali, educative.

E allora, che ne è dei “doveri” in relazione ai diritti?

Finalmente una parola chiara arriva dal Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione Calabria, On. Marina Intrieri che, con la sua segnalazione del 31 gennaio 2012, affronta il tema della “Carta dei Doveri dei bambini e degli adolescenti”, progetto elaborato dall’Ass.to alla Cultura/Ufficio Scolastico Regionale calabrese insieme ad un Ente privato milanese.

La cosiddetta “Carta dei Doveri” è un documento sorprendente per l’ignoranza sia giuridica sia psicopedagogica che la anima; come raramente si è potuto segnalare in un documento pubblico, essa mette in luce la profonda arretratezza di gran parte del Paese, arretratezza francamente inattesa in un Ente Pubblico. La segnalazione della Garante aiuta a mettere in luce questo profondo ritardo culturale, e non a caso chiede con forza il ritiro e l’abbandono dell’intero progetto.

Come Arciragazzi vogliamo sottolineare l’importanza di questo intervento dell’On. Intrieri, almeno per due ragioni:

  • Dal punto di vista culturale e giuridico, viene finalmente affermato con forza che non esiste né può esistere alcun rapporto fra quelli che chiamiamo “diritti” e i cosiddetti “doveri”; i due concetti stanno semplicemente su due piani diversi. I diritti sono legati alla persona in quanto “esistente”, qualsiasi sia la sua condizione e quali che siano i comportamenti (a meno che non vi siano reati, ma qui si entra in un altro campo ancora, e comunque solo dopo i 14 anni); non vi è alcuna variazione e/o riduzione dei diritti “intitolati alla persona” in ragione di sue proprie responsabilità e/o “doveri”. Questa è la base della cultura giuridica fondata sui diritti, e vale per tutti, non solo per i bambini e i ragazzi. Anche volendo confondere i “doveri” con la “responsabilità” di agire i diritti ascritti a ciascuno, il piano delle responsabilità attiene appunto ad un livello diverso (né più alto né più basso, solo diverso) rispetto a quello dei diritti i quali non possono essere mediati, rivisti, discussi alla luce del comportamento “responsabile” o meno. La segnalazione e la richiesta della Garante della Calabria è molto chiara in quest’aspetto, così come è chiara nell’enunciare gli effetti perversi che potenzialmente potrebbero essere desunti dalla costruzione di un parallelismo formale fra i doveri e i diritti (se il diritto di andare a scuola è legato al dovere di studiare, ne discende in teoria che se non si studia “non si merita” la scuola; in egual modo per la famiglia, la vita sociale, la salute, etc.). Non a caso, seppur con un latinismo, questa impostazione viene definita una “mostruosità”.
  • Dal punto di vista pedagogico e psicologico, viene fatta rilevare la profonda ignoranza di quasi un secolo di studi e insegnamenti, sia scientifico-psicologici che di ricerca pedagogica e pratica educativa. Dal punto di vista educativo, infatti, definire regole aprioristiche senza che esse vengano introiettate è non solo “sbagliato” nel merito, perché educazione è “accompagnamento” e “formazione” (quindi anche formazione etico-morale) e quindi presuppone (in senso letterale) un percorso di validazione personale dei valori man mano che si cresce, con attenta e presente azione educativa da parte di adulti, ma è anche “inefficace” nel metodo, perché mai si è riscontrata adesione convinta a “precetti” solo perché imposti. Come il caso – paradossale – del “dovere di essere solidale” dimostra, è impossibile introiettare la disponibilità a considerare l’altro da sé come “uguale (nei diritti)” se ciò non viene assunto profondamente, con paziente insegnamento e pratica comunitaria. Il documento della Garante chiarisce infatti non solo che la pratica educativa deve avere (a detta di tutte le ricerche e gli studi) una prassi e un approccio attivi e non impositivi – pena il rischio di arrivare ad esiti opposti a quelli paventati – ma anche che è tra i “diritti” dei minorenni essere educati in modo tale che essi (i diritti) possano essere agiti con responsabilità (quelli che potrebbero essere chiamati “doveri”). Non possiamo che essere profondamente grati alla tempestività e alla profondità di elaborazione della Garante della Calabria, e alla chiarezza espositiva di temi che stanno a cavallo fra l’educazione, il diritto, la psicologia, la normativa.

Come spesso ormai si dimentica, sta agli adulti, alla loro società e alla loro capacità il compito educativo, la necessità di “sporcarsi le mani” con l’azione quotidiana dell’esempio, della presenza, della dialettica. Riconoscere la soggettività dei minori, essendo questi in via di sviluppo, non significa considerarli alla stregua di persone che già hanno incontrato i valori e le norme sociali e interpersonali e su queste hanno già riflettuto; senza che questo sia peraltro un “minus” dal punto di vista della stessa soggettività, indica soltanto quanto aveva ragione Gianni Rodari a ricordare che “è difficile fare le cose difficili, mostrare la rosa al cieco e cantare per il sordo”. Essere in relazione educativa con qualcuno che ha già diritti ma non conosce a fondo la “pratica” della loro esigibilità è, letteralmente, come mostrare la rosa al cieco e cantare per il sordo. E’ primariamente un compito degli adulti educare quindi, e non redigere documenti di tal fatta – francamente imbarazzanti ma nella loro profonda ignoranza fonte di possibile chiarimento per tutti – per arrivare, proprio come concludeva Rodari “a liberare gli schiavi che si credono liberi”; appunto, per poter agire e far valere i propri diritti con responsabilità, che è un fine e non una premessa dell’educazione.

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