Le fiabe e le filastrocche di Saltabanco

La raccolta di fiabe e filastrocche di Saltabanco.
Ogni giorno (o quasi) una fiaba o una filastrocca. Potete vedere anche nell'area documentale, qui.
Buon divertimento!

Tutte le filastrocche qui raccolte sono state inventate da Saltabanco o raccolte tra quelle più belle di diversi autori, nel corso degli anni. Saltabanco è a disposizione di chiunque volesse qualche informazione o chiarimento in più.

315. La luna di Kiev

Chissà se la luna

di Kiev

è bella

come la luna di Roma,

chissà se è la stessa

o soltanto sua sorella…

“Ma son sempre quella!

-la luna protesta-

non son mica

un berretto da notte

sulla tua testa!

Viaggiando quassù

faccio lume a tutti quanti,

dall’India al Perù,

dal Tevere al Mar Morto,

e i miei raggi viaggiano

senza passaporto”.

314. La scuola dei grandi

Anche i grandi a scuola vanno

Tutti i giorni di tutto l’anno.

Una scuola senza banchi,

senza grembiuli né fiocchi bianchi,

e che problemi, quei poveretti,

a risolvere sono costretti:

“In questo stipendio fateci stare

vitto alloggio e un po’ di mare”.

La lezione è un vero guaio:

“Studiate il conto del calzolaio”.

Che mal di testa, il compito in classe:

“C’è l’esattore, pagate le tasse”.

313. Il gatto inverno

Ai vetri della scuola stamattina

l’inverno strofina

la sua schiena nuvolosa

come un vecchio gatto grigio:

con la nebbia fa i giochi di prestigio,

le case fa sparire

e ricomparire;

con le zampe di neve imbiancata il suolo

e  per coda ha un ghiacciolo…

Sì, signora maestra,

mi sono un pò distratto:

ma per forza, con quel gatto,

con l’inverno alla finestra

che mi ruba i pensieri

e se li porta in slitta

per allegri sentieri.

Invano io li richiamo:

si saranno impigliati in qualche ramo

spoglio;

o per dolce imbroglio, chiotti, chiotti,

fingon d’essere merli e passerotti.

312. Il calamaio

Che belle parole

se si potesse scrivere

con un raggio di sole.

Che parole d’argento

se si potesse scrivere

con un filo di vento.

Ma in fondo al calamaio

c’è un tesoro nascosto

e chi lo pesca scriverà parole

d’oro

col più nero inchiostro.

311. Problemi di stagione

“Signor maestro, che le salta in mente?

Questo problema è un’astruseria,

non ci si capisce niente:

trovate il perimetro dell’allegria,

la superficie della libertà,

il volume della felicità…

Quest’altro poi

è un po’ troppo difficile per noi:

Quanto pesa una corsa in mezzo ai prati?

Saremo certo bocciati!”

Ma il maestro che ci vede sconsolati:

“son semplici problemi di stagione.

Durante le vacanze

troverete la soluzione”.

310. Sospiri

“….Vorrei, direi, farei….”

Che maniere raffinate

ha il modo condizionale.

Mai che usi parole sguaiate,

non alza la voce per niente,

e seduto in poltrona

sospira gentilmente:

“Me ne andrei nell’Arizona,

che ve ne pare?

O forse potrei

fermarmi a Lisbona….

“…Vorrei, vorrei…

Volerei sulla luna

in cerca di fortuna.

E voi ci verreste?

Sarebbe carino,

dondolarsi sulla falce

facendo uno spuntino…

“Vorrei, vorrei…

Sapete che farei?

Ascolterei un disco.

No, meglio, suonerei

il pianoforte a coda.

Dite che è giù di moda?

Pazienza,

ne farò senza.

Del resto non so suonare…

“ Suonerei se sapessi.

Volerei se potessi.

Mangerei dei pasticcini

se ne avessi.

C’è sempre un se:

chissà perché

questa sciocca congiunzione

ce l’ha tanto con me”.

309. Il trionfo dello zero

C’era una volta

un povero Zero

tondo come un o,

tanto buono ma però

contava proprio zero

e nessuno lo voleva in compagnia

per non buttarsi via.

Una volta per caso

trovò il numero Uno

di cattivo umore perché

non riusciva contare

fino a tre.

Vedendolo così nero

il piccolo zero

si fece coraggio,

sulla sua macchina

gli offerse un passaggio,

e schiacciò l’acceleratore,

fiero assai dell’onore

di avere a bordo

un simile personaggio.

D’un tratto chi si vede

fermo sul marciapiede?

Il signor Tre che si leva il cappello

e fa un inchino

fino al tombino…

e poi, per Giove,

il Sette, l’Otto, il Nove

che fanno lo stesso.

Ma cosa era successo?

Che l’Uno e lo Zero

seduti vicini,

uno qua l’altro là

formavano un gran Dieci:

nientemeno, un’autorità!

Da quel giorno lo Zero

fu molto rispettato

anzi da tutti i numeri

ricercato e corteggiato:

gli cedevano la destra

con zelo e premura,

(di tenerlo a sinistra

avevano paura),

lo invitavano a cena,

gli pagavano il cinemà,

per il piccolo zero

fu la felicità

308. Tragedia di una virgola

C’era una volta

una povera virgola

che per colpa di uno scolaro

disattento

capitò al posto di un punto

dopo l’ultima parola

del componimento.

La poverina, da sola,

doveva reggere il peso

di cento paroloni,

alcuni perfino con l’accento.

Per la fatica atroce

morì. Fu seppellita

sotto una croce

dalla matita

blu del maestro,

e al posto dei crisantemi e semprevivi

s’ebbe un mazzetto

di punti esclamativi.

307. Il punto interrogativo

C’era una volta un punto

interrogativo,

un grande curiosone

con un solo ricciolone,

che faceva domande,

a tutte le persone,

e se la risposta

non era quella giusta

sventolava il suo ricciolo

come una frusta.

Agli esami fu messo

in fondo a un problema

così complicato

che nessuno trovò il risultato.

Il poveretto, che

di cuore non era cattivo,

diventò per rimorso

un punto esclamativo.

306. L'ago di Garda

C’era una volta un lago, e uno scolaro

un po’ somaro, un po’ mago,

con un piccolo apostrofo

lo trasformò in un ago,

“oh, guarda, guarda-

la gente diceva-

l’ago di Garda!”

“Un ago importante:

è segnato perfino sull’atlante”.

“Dicono che è pescoso.

Il fatto è misterioso:

dove staranno i pesci, nella cruna?”

“E dove si specchierà la luna?”

“Sulla punta si pungerà,

si farà male…”

“Ho letto che ci naviga un battello”.

“Sarà piuttosto un ditale”.

Da tante critiche punto sul vivo

mago distratto cancellò l’errore

ma lo fece con tanta furia

che, per colmo d’ingiuria,

si rovesciò l’inchiostro

formando un lago nero e senza apostrofo.

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