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Il decalogo ludico di Saltabanco“ L’infanzia termina nel momento in cui si scopre che la vita è un eterno gioco”. Il gioco permetterebbe il perfezionarsi di una funzione istintiva, sarebbe “un esercizio preparatorio alla vita vera”. L’animale non gioca perché è giovane, ma è giovane in quanto ha bisogno di giocare. Il gioco è dunque funzione essenziale nella vita dei bambini: essi vi si dedicano spontaneamente e senza aiuto, ma si può soddisfare il loro bisogno di attività mettendogli a disposizione gli oggetti indispensabili. Le manchevolezze e gli errori che l’educatore non sa scoprire nel campo del gioco possono modificare il comportamento del futuro adulto. Sorgente di gioia, fattore di creatività e di vittoria, origine e preparazione delle attività di lavoro, il gioco è anche una prima introduzione alle forme di convivenza sociale del bambino. Fin dai primi anni, “il gioco non è la negazione pura e semplice, la derisione del serio, del lavoro e della legge, ma piuttosto il simbolo e il pegno della riconciliazione, nel destino individuale e sociale, tra norma ed eccezione, tra necessità e libertà. Il gioco è il sale della civiltà”. Il decalogo di Saltabanco
Gli alunniGli alunni Giorno dopo giorno, si nega ai bambini il diritto di essere tali. I fatti, che si burlano di questo diritto, impartiscono i loro insegnamenti nella vita quotidiana. Il mondo tratta i bambini ricchi come se fossero denaro, affinché si abituino ad agire come agisce il denaro. Il mondo tratta i bambini poveri come se fossero rifiuti, affinché diventino dei rifiuti. E quelli che stanno in mezzo, i bambini che non sono né ricchi né poveri, li tiene legati alla gamba del televisore, perché fin da molto piccoli accettino, come destino, una vita prigioniera. I bambini che riescono a essere bambini hanno molta magia e molta fortuna. Quelli di sopra, quelli di sotto e quelli che stanno in mezzo Nell’oceano dell’abbandono si ergono le isole del privilegio. Sono campi di concentramento di lusso, dove i potenti si ritrovano con i potenti e non dimenticano mai, nemmeno per un attimo, di essere potenti. In alcune delle grandi città latinoamericane, i sequestri sono diventati un’abitudine e i bambini ricchi crescono rinchiusi sotto la campana di vetro della paura. Abitano in ville recintate, grandi dimore o gruppi di case circondate dall’assedio dell’elettricità e di guardie armate, e notte e giorno sono vigilati dalle guardie del corpo e dalle telecamere a circuito chiuso della sicurezza. I bambini ricchi viaggiano, come il denaro, in auto blindate. Non conoscono, se non di vista, la loro città, Scoprono la metropolitana a Parigi o a New York, ma non la prendono ma a San Paolo o nella capitale del Messico. Loro non vivono nelle città in cui vivono. A loro è vietato quel vasto inferno che minaccia il loro minuscolo cielo privato. Oltre le frontiere si estende una regione del terrore dove la gente è tanta, brutta, sporca e invidiosa. In piena era della globalizzazione,i bambini non appartengono più a nessun posto, ma quelli che hanno meno posto sono proprio coloro che hanno di più: crescono senza radici, privi di identità culturale e con la certezza che la realtà sia un pericolo come unica percezione del sociale. La loro patria è nelle marche del prestigio universale, che distinguono i loro abiti e tutto quello che usano, e il loro linguaggio è quello dei codici elettronici internazionali. Nelle città più diverse e nei luoghi più distanti del mondo i figli del privilegio si assomigliano fra loro, nelle abitudini e nelle tendenze, come fra loro si assomigliano gli shopping center e gli aeroporti situati al di fuori del tempo e dello spazio. Educati nella realtà virtuale, si diseducano nell'ignoranza della realtà vera, che esiste solo per essere temuta o comprata. Fast food, fast cars, fast life: da quando nascono, i bambini sono allenati al consumo e all’effimero trascorrono l’infanzia constatando che le macchine sono più degne di fiducia delle persone. Quando arriva l’ora del rituale di iniziazione, gli sarà offerto il loro primo fuoristrada con quattro ruote motrici. Durante gli anni dell’attesa, si lanciano a tutta birra sulle autostrade cibernetiche e confermano la propria identità divorando immagini e merci, facendo zapping e facendo shopping. I ciberbambini navigano nel ciberspazio con la stessa disinvoltura con cui i bambini abbandonati vagano per le strade delle città. Molto prima che i bambini ricchi smettano di essere bambini e scoprano le droghe costose che stordiscono la solitudine e macerano la paura, i bambini poveri stanno già inalando benzina. Mentre i bambini ricchi giocano alla guerra con proiettili i proiettili di piombo minacciano già i bambini di strada. L’esperienza dell’Arciragazzi. La Tesi di Manuela BuzzigoliL’educazione socio-affettiva del bambino e dell’adolescente nelle realtà dell’extra-scuola: l’esperienza dell’Arciragazzi. Negli ultimi decenni la scuola ha vissuto molti cambiamenti: innovazioni tecnologiche, nuovi programmi, nuove metodologie… Eppure, come sosteneva Thomas Gordon circa dieci anni fa, si tratta di un cambiamento relativo, che ci porta ad un paradosso: la scuola sarebbe cambiata con il paradossale risultato che la scuola non è cambiata. Riprendendo la teoria dei sistemi, si tratterebbe infatti di mutamenti di primo ordine che non sono sufficienti a modificare il sistema: si dice che il sistema abbia una tendenza morfostatica. La scuola quindi non cambia in realtà, ma si adatta (Gordon, 1996). E viene facile il richiamo ad una frase celebre di un classico della letteratura italiana: “Tutto cambia per non cambiare niente” diceva il Principe Tancredi nel romanzo “Il Gattopardo”, di fronte al grande cambiamento “annunciato” dalle truppe di Garibaldi in Sicilia, durante il periodo di unificazione del nostro Paese. C’è vita senza gioco? La Tesi sul gioco di Massimiliano RiezzoIl gioco. Bambini che gattonano, corrono, manipolano oggetti, inventano e costruiscono rincorrendo la loro fantasia… adulti che sembrano bambini, che si dimenticano per un momento della loro realtà ed entrano in una fase atavica, quasi mistica…che magia il gioco! Ho deciso di trattare il tema del gioco in tutti i suoi aspetti più rilevanti lungo tutto l’arco della vita degli esseri umani, proprio perché lo ritengo il veicolo trainante dell’età dello sviluppo ma anche una componente fondamentale della vita in ogni sua fase temporale. Affronterò le sue funzioni pedagogiche, socioculturali, di sviluppo psicofisico e i suoi risvolti psichici, parlerò della mia esperienza di animatore ludico per bambini e delle tematiche incontrate rispetto a quello che ho imparato da pedagogisti e psicologi durante il mio percorso scolastico portando esperienze dirette anche del rapporto con i genitori dei bambini, ma soprattutto del gioco come forma di libertà, espressività e diritto all’infanzia di cui i bambini, purtroppo, non in tutte le parti del mondo possono beneficiare. La nostra vita è di tipo socio-culturale, l’apprendimento avviene a partire dagli altri sia in modo diretto, interagendo con loro o indiretto attraverso opere prodotte da altri esseri umani come libri, quadri, musica e cosi via. Il gioco è la prima forma di socialità che un bambino attua e da cui apprende quello che lo circonda, impara comportamenti e regole, comunica e si esprime, è per lui la forma più naturale e spontanea di tutto ciò e lo affronta molto seriamente. Il desiderio di giocare, anzi il bisogno di giocare, non abbandona l’uomo alla fine dell’età dello sviluppo, ma rimane sempre ben radicato in tutti, anche se molti cercano di nasconderlo. La ricerca del piacere, e il gioco dà piacere, anzi senza piacere il gioco non è più gioco, mai ci lascia e aiuta oltretutto a scaricare tensioni, stress, stanchezza, fondendo Io, Es e Super-io, aumentando le potenzialità di ognuno e permettendo di recuperare energie che si pensava sparite. Non c’è vita senza gioco, esso è antecedente anche alla cultura umana, esiste dalle fasi primordiali del mondo, ne sono testimonianza gli animali che hanno innato il senso del gioco. Ecco il punto focale, il gioco ha un senso o forse mille sensi al suo stesso interno, cercherò pertanto di analizzare tutto quanto è nelle mie possibilità per farli emergere in toto. Perché una scuola con il gioco?Spesso mi sono chiesto se il gioco nella scuola è solo un’appendice, un semplice ritaglio di spazio che i bambini fanno in alcuni (pochi) momenti isolati del tempo scolastico, oppure è ancora una condizione importante per la crescita e per l’armonico sviluppo del fanciullo con il restante mondo esterno. Possono ancora essere pensati come un unico processo il gioco con la scuola e la scuola con il gioco? Dare una risposta a questa domanda rimanda necessariamente a scontrarsi con situazioni che negli ultimi anni hanno condizionato non solo il gioco ma anche la nostra vita nella relazione con i bambini; la sicurezza, lo spazio la socialità/solitudine, il potere, la scuola, gli educatori. La mia attuale situazione, poco chiara del resto, di operatore del comune, colui che accoglie i bambini al mattino e li ri-accompagna alla sera, li sorveglia in mensa, li deve ri-chiamare laddove le “regole” non vengono rispettate, li deve educare a comportarsi bene in mensa, al rispetto del cibo e degli altri, una specie di guardiano che li costudisce e li preserva da chissà quali epidemie, un controllore di voli non pindarici ne tanto meno emotivi, mi ha portato a riflettere su alcuni aspetti del mondo dei bambini nella scuola. Tanti e troppi sono i soggetti che si inseriscono in questo spazio, il poco tempo libero (veramente libero) dei bambini, i genitori, gli insegnanti, gli pseudo-animatori, tutti quegli educatori che si auto-riconoscono questo ruolo, e che, senza cognizione di causa, si permettono costantemente di pronunciare sentenze in merito alla questione dell’educazione e della crescita dei ragazzi. La mia riflessione è nata da spunti che mi sono stati offerti da questo incontro con la scuola e che vorrei portare anche ad altri soggetti, altrettanto impegnati seriamente in questo mondo: “la scuola dei bambini”. Giancarlo Casanova Il Manifesto della Patafisica (1911)Un buon inizio. |