filastrocche
Dal primo all’ultimo vagone
è tutto nero di carbone,
ma affacciato a uno sportellino
c’è il muso bianco di un vitellino.
Un signore di Scandicci
buttava le castagne
e mangiava i ricci.
Un suo amico di Lastra a Signa
buttava i pinoli
e mangiava la pigna.
Un suo cugino di Prato
mangiava la carta stagnola
e buttava il cioccolato.
Tanta gente non lo sa
e dunque non se ne cruccia:
la vita la butta via
e mangia soltanto la buccia.
Ho visto una formica
in giorno freddo e triste
donare alla cicala
metà delle sue provviste.
Tutto cambia: le nuvole,
le favole, le persone…
la formica si fa generosa….
È una rivoluzione!
Una volta le galline trovarono la volpe in mezzo al sentiero. Aveva gli occhi chiusi, la coda non si muoveva. – è morta, è morta, - gridarono le galline. –Facciamole il funerale-. Difatti suonarono le campane a morto, si vestirono di nero e il gallo andò a scavare la fossa in fondo al prato. Fu un bellissimo funerale e i pulcini portavano i fiori. Quando arrivarono vicino alla buca la volpe saltò fuori dalla cassa e mangiò tutte le galline. La notizia volò di pollaio in pollaio. Ne parlò perfino la radio, ma la volpe non se ne preoccupò. Lasciò passare un po’ di tempo, cambiò paese, si sdraiò in mezzo al sentiero e chiuse gli occhi. Vennero le galline di quel paese e subito gridarono anche loro: -è morta, è morta! Facciamole il funerale-. Suonarono le campane, si vestirono di nero e il gallo andò a scavare la fossa in mezzo al granoturco. Fu un bellissimo funerale e i pulcini cantavano che si sentivano in Francia. Quando furono vicini alla buca, la volpe saltò fuori dalla cassa e si mangiò tutto il corteo. La notizia volò di pollaio in pollaio e fece versare molte lagrime. Ne parlò anche la televisione, ma la volpe non si prese paura per nulla. Essa sapeva che le galline hanno poca memoria e campò tutta la vita facendo la morta. E chi farà come quelle galline vuol dire che non ha capito la storia.
La mia mucca è turchina
si chiama Carletto
le piace andare in tram
senza pagare il biglietto.
Confina a nord con le corna,
a sud con la coda.
Porta un vecchio cappotto
e scarpe fuori moda.
La sua superficie
non l’ho mai misurata,
dev’essere un po’ meno
della Basilicata.
La mia mucca è buona
e quando crescerà
sarà la consolazione
di mamma e di papà.
(Signor maestro, il mio tema
potrà forse meravigliarla:
io la mucca non ce l’ho,
ho dovuto inventarla.)
A Roma, in piazza dell’ Argentina,
suona un ciechino la fisarmonica.
Si ferma la gente ogni mattina
A quella musica un po’ malinconica.
Prima di correre a lavorare,
prigionieri in una stanza,
gli impiegati si fermano a fare
provvista di musica e di speranza.
Quando finisce la canzonetta
si ricordano di avere fretta.
Bambino di città cerca amici
perché non ne ha.
Si prega di guardare
sul quinto balcone:
tiene in mano un aquilone
che volare non sa.
Il pompiere per chi non lo sa,
è un domatore di qualità.
Il fuoco è feroce come un tigrotto:
io lo addomestico in quattro e quattr’otto.
Con la pompa gli faccio passare
tutta la voglia di bruciare:
te lo spengo come un lumino,
come la fiamma di un cerino.
Mi preoccupa però
un terribile falò,
per il quale serve a poco
l’accetta del vigile del fuoco:
la guerra può incendiare il mondo
da un polo all’altro in un secondo.
Ma sapete che faremo?
Tutti insieme lo spegneremo.
Sarebbe bello da vedere:
tutti gli uomini, un solo pompiere!
Filastrocca di Natale,
la neve è bianca come il sale,
la neve è fredda, la notte è nera
ma per i bimbi è primavera:
soltanto per loro, ai piedi del letto
è fiorito un albereto.
Che strani fiori, che frutti buoni
oggi sull’albero dei doni:
bombole d’oro, treni di latta,
orsi dal pelo come d’ovatta,
e in cima, proprio sul ramo più alto,
un cavallo che spicca in salto.
Quasi lo tocco… Ma no, ho sognato,
ed ecco, adesso mi sono destato:
nella mia casa, accanto al mio letto
non è fiorito l’alberetto.
Ci sono soltanto i fiori del gelo
sui vetri che mi nascondono il cielo.
L’albero dei poveri sui vetri è fiorito:
io lo cancello con un dito.
Filastrocca della domenica,
un po’ allegra, un po’ malinconica,
malinconica vuol dire mesta:
non per tutti domenica è festa.
Non è festa per il tranviere,
il vigile urbano, il ferroviere,
non è domenica per il fornaio,
per il garzone del lattaio.
Ma tutti i giorni sono neri
per chi ha tristi pensieri;
per chi ha fame, è proprio così:
ogni giorno è lunedì.
Ciminiere, ciminiere,
siete belle da vedere,
con il pennacchio piegato al vento
come il fumo d’un bastimento.
Tra poco forse la città
nel cielo azzurro salperà.
Ma com’è triste da vedere
la morte delle ciminiere:
dov’è il fumo piegato al vento?
la sirena perché non sento?
Dietro il cancello nero sbarrato
il cuor che batteva qualcuno ha fermato.
Ma tu, sirena, non resti muta,
e chiami, chiami l’uomo in tuta:
la sua mano ridesterà
il forte cuore della città.